È reato fotografare auto in sosta vietata nelle aree condominiali?
Ormai abbiamo sempre in tasca e costantemente a portata di mano il telefono e, sempre più spesso, è invalsa l’abitudine di documentare qualsiasi avvenimento, positivo o negativo, fotografando e filmando quanto accade in nostra presenza.
Questo strumento è sempre più usato anche per documentare quei piccoli abusi, prepotenze, in condominio, per esempio nell’occupazione o nell’uso di spazi comuni; per lo più per poter effettuare segnalazioni all’amministratore e sollecitare iniziative.
Ma vi siete mai chiesti se sia reato fotografare o riprendere il prossimo?
In linea generale fotografare persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico non è reato, tuttavia potrebbe costituire “molestia o disturbo alle persone”, prevista all’art. 660 del c.p. se si tratta di un comportamento ripetuto ed abituale che interferisce sull’altrui libertà, agendo in modo vessatorio, pressante, intimidatorio.
L’argomento di cui vi parlo oggi è stato oggetto di una recente sentenza della prima sezione della corte di Cassazione (depositata il 5 maggio 2023, n. 18744/2023).
Il Tribunale di Pescara si era pronunciato sulla denuncia per molestia di un condòmino che lamentava che fosse stata fotografata la propria auto, parcheggiata in un’area dove è vietata la sosta, all’interno del condominio, a bordo della quale erano i propri figli minori.
Il condòmino “fotografo” era stato tratto a giudizio con l’imputazione di aver recato molestia e disturbo ai condomini, violando l’art. 660 c.p., per biasimevole motivo, Nondimeno, all’esito dell’istruttoria, il Tribunale aveva ritenuto che l’episodio unico non dimostrasse l’abitualità della condotta e, pertanto, dichiarato l’assoluzione per particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131 bis del c.p.
Dall’istruttoria dibattimentale era emerso che spesso era avvenuto che diversi condòmini fotografassero le vetture in sosta nelle aree in cui vi era divieto, al fine di segnalare il comportamento scorretto all’amministratore, anche perché quelle condotte, in violazione dei regolamenti condominiali, avevano determinato una situazione problematica proprio all’interno del condominio.
Ebbene, atteso che questa particolare formula assolutoria prevede, in ogni caso, la registrazione sul casellario giudiziario, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, al fine di ottenere un’assoluzione “nel merito”, quindi dichiarativa della non sussistenza di una violazione meritevole di rilevanza penale.
La Corte di Cassazione ha infatti evidenziato che la sicura annotazione nel certificato giudiziale di tale pronunzia, nonché la sua idoneità a spiegare definitivi pregiudizievoli, nei giudizi civili (ed amministrativi) che hanno ad oggetto la risarcibilità del danno derivante dal fatto ritenuto non punibile ai sensi dell’art. 131 bis c.p., costituiscono elementi di indubbia valenza ai fini dell’affermazione della sussistenza di un interesse ad impugnare da parte del destinatario di tale pronunzia.
Entrando nel merito della questione, poi, la suprema Corte ha chiarito che la contravvenzione di molestia o disturbo alle persone di cui all’art. 660 del c.p., può configurarsi quale reato abituale sia in forza di una condotta reiterata ma anche realizzarsi per mezzo di una sola azione, in questo secondo caso, però, a condizione che l’azione di disturbo o molestia sia ispirata da biasimevole motivo o abbia il carattere della petulanza (ossia una modalità di azione pressante e indiscreta che interferisce gravemente nella sfera privata altrui).
Conclude la Corte, quindi, che per essere considerato reato, il comportamento censurato deve essere caratterizzato dai requisiti richiamati dalla norma incriminatrice e non limitarsi a risultare sgradito a chi lo riceve, ma essere ispirato da biasimevole, riprovevole motivo, o almeno avere il carattere della petulanza.
Nel caso in esame, la condotta – accertata dal Tribunale – risultava riconducibile ad un unico episodio, pertanto ritiene la Cassazione che non siano ravvisabili gli estremi del reato poiché è senza dubbio escluso il biasimevole motivo. Il condòmino imputato, dunque ha ottenuto che la sentenza impugnata fosse annullata con la dichiarazione di insussistenza del reato.