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Dualità tra sfera privata e parte comune: natura del condominio e responsabilità
Quando si è proprietari di un immobile all’interno di un condominio è necessario tenere conto che da tale titolo, derivano delle responsabilità e dei doveri che devono essere osservati da ciascun proprietario. Il condominio infatti, disciplinato dagli articoli dal 1117 al 1139 del Codice civile, è una tipologia di comproprietà, caratterizzata dalla coesistenza di parti comuni destinate proprio alla sussistenza delle proprietà esclusive.
Vi sussiste infatti, una vera e propria relazione strumentale tra le proprietà individuali e gli spazi, servizi ed impianti comuni, che sono l’oggetto stesso della comproprietà. Per proprietà individuale come è noto, si intende quella porzione di immobile, attribuita in via esclusiva, separata ed autonoma a ciascun condomino, dietro specifico titolo, caratterizzata da delimitazioni che la separano dalle parti comuni e dalle altre parti esclusive presenti in un condominio. In tale contesto, è opportuno sottolineare che ai sensi del Codice civile, il proprietario ha il diritto di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico.
Infatti, come stabilito dalla Legge di Riforma del Condominio, nell’unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all’uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni o determinino pregiudizi alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio ed in ogni caso è data preventiva notizia all’amministratore che ne riferisce all’assemblea. Da ciò, si deduce che l’uso della proprietà esclusiva non deve danneggiare la fruizione delle parti comune, su cui ciascun condomino ha pari diritto di godimento e di utilizzo, nei limiti di cui all’articolo 1102 del Codice Civile.
Da quanto appena asserito, ne deriva che ciascun condomino, in proporzione alla sua od alle sue proprietà, all’interno dell’istituto particolare che è il condominio, sia conseguentemente proprietario anche di quote di comproprietà sulle parti comuni (vedi art 1118 Codice civile).
Tali quote di comproprietà sono proporzionali, così come di conseguenza, lo è la partecipazione al pagamento delle spese da parte del singolo condomino, per la manutenzione e conservazione delle parti e dei servizi comuni. Sono quindi oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari del condominio (anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta contrario dal titolo), tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, come elencato in maniera esemplificativa e non tassativa dall’articolo 1117 del Codice civile. All’interno di quest’ultimo, possiamo trovare per l’appunto un’elencazione di beni ed impianti comuni come tra gli altri: il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri, le travi portanti, i tetti e i lastrici, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili, la facciata, le aree destinate a parcheggio e i locali per i servizi comuni (come portinerie ed alloggi), i sottotetti, i manufatti e qualunque altro genere di impianto destinato all’uso comune, gli ascensori, i pozzi, gli impianti fognari idrici, i sistemi centralizzati per la distribuzione di gas, l’energia elettrica, il riscaldamento e il condizionamento dell’aria, per la ricezione radio televisiva, etc… Per comprendere se un bene possa essere definito comune, inoltre, è necessario verificare l’effettiva destinazione d’uso dello stesso e se questo sia finalizzato al godimento comune.
Occorre anche precisare che la presunzione di “condominialità” di cui all’articolo 1117 c.c., è superabile solo da un titolo contrario contenuto nell’atto di acquisto. La presunzione di proprietà comune, inoltre, può essere vinta da un titolo avente forma scritta e che sia trascritto, come un regolamento condominiale contrattuale (diverso da quello di natura assembleare) predisposto dall’originario proprietario dell’edificio, in sede di frazionamento in unità distinte, il quale può anche prevedere eventuali vincoli sulle proprietà esclusive. Preme sottolineare che il regolamento condominiale in tale contesto, ricopre una funzione fondamentale, in quanto contiene norme riguardanti l’utilizzo e la fruizione delle cose comune, la ripartizione delle spese secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, andando anche in deroga ad alcune norme del Codice civile in tale contesto, così come le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione.
Si ricorda che ai sensi del 1139 del Codice civile, quando in un edificio il numero di condomini è superiore a dieci, è necessario venga redatto un regolamento. La differenza tra le due tipologie previste di Regolamento è sostanziale, oltre ad essere impugnabile, quello assembleare si limita a prevedere norme di natura regolamentare che non incidono sui diritti soggettivi dei condomini, finalizzate al miglior godimento dei beni comuni ed inoltre, a differenza di quello contrattuale, prevede che ciascun condomino possa prendere iniziativa per la sua formazione o la sua revisione, se già esistente.
Questo, fermo restando il fatto che tale regolamento, deve essere poi oggetto di approvazione da parte dell’assemblea di condominio, con la maggioranza prevista dal comma 2 dell’articolo 1136 c.c. (500 millesimi oltre alla maggioranza degli intervenuti). Sempre riferendosi a norme di natura meramente regolamentare, anche per apportare variazioni ad un regolamento contrattuale, è sufficiente la maggioranza dei millesimi ma in linea generale, per effettuare una modifica allo stesso, è prevista l’unanimità dei consensi. Si ricorda che, essendo la formazione stessa del regolamento contrattuale soggetta al requisito della forma scritta (costituendo la scrittura, elemento essenziale per la validità dell’atto) è necessario osservarla, anche nelle mere modificazioni.